Centinaia di diciottenni hanno scoperto troppo tardi che qualcuno aveva già incassato al posto loro i 500 euro destinati alla cultura. Un’indagine svela un sistema ramificato di furti d’identità e riciclaggio internazionale.

Per molti neodiciottenni il 2023 avrebbe dovuto coincidere con l’arrivo del bonus cultura da 500 euro. E invece, nel momento in cui hanno provato a riscattarlo tramite IO – l’app dei servizi pubblici – la sorpresa è stata amara: il denaro era già sparito. A sottrarlo non è stato un errore tecnico, ma una rete criminale che aveva anticipato i legittimi beneficiari. Come? Semplicemente rubando la loro identità digitale e presentando la richiesta del bonus al loro posto.
La procedura, passata obbligatoriamente attraverso l’identificazione tramite SPID, è diventata il punto debole del sistema. Documenti personali e codici fiscali sono finiti nelle mani sbagliate. E da lì è bastato poco: la creazione di uno SPID falso, l’accesso all’app IO e la richiesta fraudolenta del contributo.
Una falla informatica e 400 mila euro spariti solo a Torino
Il caso è emerso in tutta la sua gravità grazie alle indagini della polizia postale, come riportato dal Corriere della Sera. A Torino, le autorità hanno scoperto circa 2.000 concessioni irregolari. Il danno? Oltre 400 mila euro sottratti all’Erario. Gli Spid in questione risultavano formalmente regolari, ma legati a identità fittizie. In tutto, sono 18 le persone attualmente sotto indagine: tre nel capoluogo piemontese, le altre sparse in diverse città.
Gli investigatori ipotizzano che i bonus elargiti in modo illecito siano molti di più: si parla di decine di migliaia di casi e di milioni di euro da recuperare. Non solo: sotto la lente ci sono anche i titolari di bonus ottenuti legalmente ma usati in modo improprio, spartendo il credito con terzi o impiegandolo per fini diversi da quelli previsti, come l’acquisto di libri, musica o biglietti per eventi culturali.

Il sistema criminale dietro le frodi: conti esteri e prestanome
Dietro queste truffe non ci sono semplici opportunisti, ma vere e proprie bande organizzate. Gruppi criminali con competenze informatiche e legami internazionali. Il sistema era sofisticato: partiva dalla creazione del primo conto corrente collegato al bonus, per poi spostare rapidamente il denaro attraverso una rete di IBAN, alcuni intestati a prestanome compiacenti, altri registrati all’estero, in Paesi poco collaborativi con le autorità italiane.
Ogni passaggio serviva a oscurare le tracce, a rendere più difficile risalire ai responsabili e, soprattutto, a riciclare i proventi. Il denaro, una volta “ripulito”, tornava su conti italiani da cui poteva essere ritirato in contanti. E non finiva lì: secondo gli investigatori, quei soldi potrebbero aver alimentato altri traffici illeciti. Uno su tutti, lo spaccio di droga.
Un danno collettivo e una sfida per la sicurezza digitale
Il furto dei bonus cultura non è solo una beffa per chi ne aveva diritto, ma un campanello d’allarme per la sicurezza digitale in Italia. Il sistema SPID, pilastro dell’identificazione per l’accesso ai servizi pubblici, si è rivelato vulnerabile di fronte a tecniche di phishing e furto d’identità sempre più sofisticate.
Nel frattempo, mentre le indagini proseguono e si cercano di recuperare i fondi sottratti, resta una domanda aperta: quanti altri beneficiari, in buona fede, sono stati truffati senza ancora saperlo? E come prevenire che un meccanismo nato per incentivare la cultura si trasformi in un varco per il crimine organizzato?