Eurydice denuncia una crisi strutturale nella scuola: senza investimenti seri, sarà difficile motivare e trattenere i nuovi insegnanti.

L’analisi più recente di Eurydice, la rete della Commissione europea che monitora le politiche educative nei Paesi membri, restituisce un quadro chiaro e poco incoraggiante: gli insegnanti italiani restano tra i meno pagati d’Europa. Nonostante competenze, responsabilità e livelli di istruzione paragonabili a quelli dei colleghi del Nord Europa, i loro stipendi continuano a collocarsi ben al di sotto della media.
Anche considerando il potere d’acquisto, la distanza è netta: un docente italiano guadagna circa la metà rispetto a un collega tedesco o olandese. Una disuguaglianza che non è solo economica, ma culturale, e che si riflette sulla percezione e sulla tenuta del sistema scolastico nazionale.
Germania e Paesi Bassi premiano il ruolo degli insegnanti
In cima alla classifica dei Paesi europei con i docenti meglio retribuiti troviamo Germania, Olanda e Austria. Qui, gli insegnanti delle scuole secondarie possono contare su stipendi lordi annui compresi tra 58.000 e oltre 68.000 euro.
Seguono Danimarca e Belgio, dove le retribuzioni oscillano tra 51.000 e 55.000 euro, garantite in tutte le comunità linguistiche. Queste cifre riflettono un modello che considera l’insegnamento una professione chiave per il benessere collettivo, con trattamenti economici allineati a quelli di altri settori ad alta qualificazione.
In Germania, molti docenti sono funzionari pubblici, con tutele solide e avanzamenti di carriera automatici. Una condizione che favorisce la stabilità lavorativa e l’attrattività della professione.
L’Italia in coda: compensi bassi e carriere rallentate
Nel contesto europeo, l’Italia si posiziona stabilmente nella parte bassa della classifica. I compensi lordi annui variano da 30.354 euro nella scuola primaria a 34.268 euro nella secondaria superiore.
Il confronto è schiacciante: un insegnante tedesco guadagna più del doppio rispetto a un italiano, e anche in Paesi come Austria, Danimarca o Olanda, la differenza supera i 20.000 euro l’anno.
A parità di potere d’acquisto, gli stipendi italiani si avvicinano a quelli di Romania e Polonia, Paesi con un costo della vita molto più basso. Questo quadro, già noto da tempo, appare oggi ancora più marcato e preoccupante.

Una professione poco attrattiva per le nuove generazioni
Oltre ai compensi bassi, il sistema scolastico italiano sconta una lentezza cronica nelle progressioni di carriera, una contrattualistica frammentata e l’assenza di un piano strutturale per la valorizzazione del personale docente.
Risultato? Sempre più giovani laureati scelgono di non intraprendere la carriera scolastica, o la abbandonano presto per cercare opportunità all’estero o in altri settori più stabili e remunerativi.
Il mestiere di insegnante, pur svolto con passione e competenza, si regge sul senso di responsabilità e sulla dedizione individuale, più che su un riconoscimento economico o sociale concreto.
La scuola italiana tra retorica e realtà
In occasione della Giornata mondiale degli insegnanti, il 5 ottobre, il report Eurydice ha riportato l’attenzione su un tema irrisolto: il disallineamento tra la centralità della scuola nei discorsi politici e le reali condizioni di chi ci lavora ogni giorno.
Nel nostro Paese, le risorse dedicate alla professione docente restano tra le più basse d’Europa. Eppure, se l’Italia vuole colmare il divario con gli altri Paesi, dovrà partire proprio da qui: riconoscere agli insegnanti un ruolo strategico anche nei fatti, non solo nelle dichiarazioni.
Per trattenere, formare e motivare le nuove generazioni di docenti, serve un cambio di passo. Il futuro della scuola italiana non può più aspettare.