Il nuovo metodo progressivo corregge le disuguaglianze del passato e garantisce aumenti anche alle pensioni medio-alte.

L’anno prossimo porterà una rivalutazione più generosa degli assegni pensionistici rispetto al 2025. Il motivo? L’inflazione in crescita e un meccanismo di adeguamento dei trattamenti pensionistici che, grazie a recenti modifiche normative, risulterà meno penalizzante per le pensioni medio-alte. Secondo le proiezioni basate sulle ultime stime Istat, nel 2026 i pensionati potranno contare su un incremento medio che supera i 300 euro annui.
Se nel 2025 l’inflazione è stata contenuta – con un tasso definitivo all’1% – e gli aumenti si sono limitati a pochi euro mensili, la situazione potrebbe cambiare sensibilmente nel 2026. Ad agosto, l’indice dei prezzi al consumo segnava +1,7%, e se il trend prosegue, la chiusura d’anno potrebbe attestarsi attorno al +2,5%. Un livello che porterebbe a un adeguamento ben più marcato delle pensioni.
Ecco quanto potrebbero aumentare gli assegni
L’aumento, che scatta ogni anno a gennaio, sarà calcolato con il consueto meccanismo della perequazione automatica, cioè l’adeguamento degli importi al costo della vita. Con un’inflazione stimata al 2,5%, ad esempio, una pensione da 1.000 euro al mese potrebbe arrivare a circa 1.025 euro. Non si tratta di un aumento eccezionale come quelli registrati nel biennio post-pandemico, ma è comunque una crescita concreta e ben superiore rispetto al 2025.
Chi percepisce pensioni più elevate dovrà comunque fare i conti con una rivalutazione parziale. Tuttavia, la novità del sistema introdotto nel 2025 rende gli adeguamenti più equi e progressivi, rispetto al vecchio metodo a scaglioni fissi, più volte criticato e oggetto di ricorsi alla Corte Costituzionale.

Come funziona il nuovo sistema di rivalutazione
Nel 2026, come già nel 2025, si applicherà un sistema di perequazione progressiva, che premia maggiormente chi ha redditi più bassi. Le fasce previste sono le seguenti:
- 100% di perequazione per le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo;
- 90% per la parte compresa tra 4 e 5 volte il minimo;
- 75% per la parte che eccede le 5 volte il minimo.
La grande differenza rispetto al passato sta proprio nel fatto che le percentuali si applicano solo sulla parte eccedente di pensione. Il vecchio sistema, invece, applicava la percentuale all’intero importo, penalizzando in modo uniforme anche le pensioni solo leggermente superiori alla soglia minima.
Grazie a questa modifica, l’impatto dell’inflazione sarà più bilanciato lungo tutte le fasce reddituali, e anche chi ha una pensione superiore ai 2.000 euro potrà contare su un adeguamento più equo.
I conti dello Stato sotto pressione, ma i pensionati ringraziano
Tutto questo, però, ha un costo. Secondo le prime stime, l’extra spesa per lo Stato potrebbe superare i 5 miliardi di euro nel solo 2026. Una cifra significativa, che già preoccupa chi gestisce le finanze pubbliche. Tuttavia, per milioni di pensionati, il riallineamento al costo della vita rappresenta una misura essenziale per mantenere il potere d’acquisto, soprattutto in un periodo in cui i prezzi di beni e servizi continuano a salire.
E mentre la Corte Costituzionale dovrà ancora pronunciarsi su alcuni ricorsi pendenti riguardo ai precedenti metodi di rivalutazione, il nuovo sistema sembra reggere bene il confronto, offrendo maggiori garanzie di equità e sostenibilità.
Il 2026, insomma, si preannuncia come un anno di svolta per chi è in pensione: più soldi in tasca, ma anche più attenzione da parte della politica e della magistratura contabile.