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Riforma pensioni 2027: assegni più bassi per chi esce prima

Riforma pensioni 2027: assegni più bassi per chi esce prima
Photo by Alexas_Fotos – Pixabay
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Il nuovo coefficiente di trasformazione penalizza i pensionamenti anticipati, riducendo l’importo mensile in modo significativo.

Riforma pensioni 2027: assegni più bassi per chi esce prima
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Dal 1° gennaio 2027, il sistema pensionistico italiano si prepara a un nuovo scatto in avanti. Con l’obiettivo di allinearsi all’aumento dell’aspettativa di vita, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia salirà a 67 anni e 3 mesi, superando di tre mesi la soglia attuale. Ma non è tutto: anche per chi punta alla pensione anticipata si alzano i paletti. Gli uomini dovranno aver versato almeno 43 anni e 1 mese di contributi, mentre per le donne la soglia sarà di 42 anni e 1 mese. Un cambiamento che, secondo molti, rischia di penalizzare chi ha svolto lavori usuranti o ha carriere frammentate.

Il meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita, introdotto anni fa per salvaguardare i conti pubblici, continua così a incidere profondamente sulle condizioni di accesso alla pensione. Tuttavia, aumentano le critiche verso un sistema giudicato poco sensibile alle disuguaglianze tra i lavoratori.

Meno assegni per chi va prima: il nuovo coefficiente colpisce tutti

Accanto all’innalzamento dell’età, si fa sentire anche l’impatto delle modifiche al coefficiente di trasformazione, entrate in vigore già dal 1° gennaio 2025. Questo parametro, che stabilisce l’importo dell’assegno mensile sulla base dei contributi versati e dell’età al momento del ritiro, è stato rivisto al ribasso.

Il risultato? Pensioni più leggere, soprattutto per chi sceglie di lasciare il lavoro prima dei nuovi limiti. Chi andrà in pensione dopo il 2027, oltre a dover lavorare più a lungo, rischia di ricevere un trattamento economico meno generoso rispetto a chi lo ha preceduto. Una doppia penalizzazione che alimenta il malcontento e pone nuovi interrogativi sulla tenuta sociale del sistema.

Proteste in piazza e un referendum alle porte

L’annuncio delle nuove misure ha subito acceso la miccia del dissenso. I principali sindacati si sono mobilitati, denunciando l’iniquità delle riforme e chiedendo un modello pensionistico più equo e sostenibile anche sul piano umano. La loro proposta? Un referendum popolare previsto per l’8 e 9 giugno 2025, con l’obiettivo di ridare voce ai cittadini e promuovere un sistema più giusto.

Tra le richieste principali: differenziare l’accesso alla pensione in base alla tipologia di lavoro svolto, riconoscere la gravosità di alcune professioni e garantire una soglia minima di tutela per i lavoratori con carriere discontinue o interrotte.

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L’età si allunga, ma non per tutti: il nodo dell’equità sociale

Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana è un dato di fatto. Ma se l’obiettivo della riforma è contenere la spesa pubblica, il rischio è quello di sacrificare la giustizia sociale sull’altare della sostenibilità economica. Non tutti, infatti, arrivano alla pensione nelle stesse condizioni fisiche o con lo stesso percorso lavorativo alle spalle.

Uniformare l’età pensionabile, ignorando le profonde differenze tra impiegati e operai, tra lavori d’ufficio e mansioni faticose, rischia di aumentare le disuguaglianze. Per molti, la prospettiva di lavorare fino a oltre 67 anni non è semplicemente difficile: è impossibile. Il sistema, così com’è, appare sempre più distante dalle reali esigenze dei lavoratori.