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Quando la pensione di un coniuge penalizza l’altro: il paradosso previdenziale italiano

Quando la pensione di un coniuge penalizza l’altro: il paradosso previdenziale italiano
Photo by wir_sind_klein – Pixabay
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Un sistema rigido e complesso rischia di lasciare senza tutela chi ha versato contributi per anni, ma non raggiunge le soglie richieste. Il caso di Serena, 67 anni, ne è un esempio emblematico.

Quando la pensione di un coniuge penalizza l’altro: il paradosso previdenziale italiano
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“Tra moglie e marito non mettere il dito”, si dice. Ma quando entra in gioco il sistema previdenziale, certe dinamiche familiari diventano inevitabilmente pubbliche. Soprattutto se le regole – intricate e spesso poco intuitive – finiscono per danneggiare proprio chi ha contribuito per anni, senza mai riuscire ad accedere a una pensione.

Succede così che in molte famiglie, la pensione percepita da uno dei due coniugi diventi un ostacolo per l’altro. Non solo nell’importo, ma persino nel diritto stesso a ricevere una prestazione. Una contraddizione che fa riflettere sul funzionamento della previdenza in Italia.

Il caso di Serena: 16 anni di contributi che non bastano

Serena ha oggi 67 anni. Dopo aver cresciuto tre figli, ha gestito per quindici anni un negozio di articoli da regalo. Ha versato circa 16 anni di contributi, ma non può accedere alla pensione, perché la soglia minima richiesta è di 20 anni.

“Mio marito ha 69 anni, è in pensione da quattro e percepisce 1.500 euro al mese”, racconta. “Io, invece, pur avendo lavorato e pagato i contributi, non ho diritto a nulla. E a causa dei redditi familiari, non posso nemmeno ottenere l’Assegno Sociale. Il mio commercialista mi ha detto che nemmeno a 71 anni potrò avere una pensione, perché ho iniziato a versare prima del 1995. Ma che Italia è questa?”

Una domanda lecita, che racchiude il disagio di molte donne in situazioni simili.

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Il limite dei 20 anni e la stretta sull’Assegno Sociale

Il nodo centrale resta l’accesso alla pensione di vecchiaia ordinaria, che richiede almeno 20 anni di contributi effettivi. Anche un solo anno in meno rende impossibile il riconoscimento della prestazione, indipendentemente dall’età. Chi si trova in questa condizione può sperare nell’Assegno Sociale, erogato dall’INPS a partire dai 67 anni, ma vincolato al reddito familiare.

Nel 2025, il limite è fissato al doppio dell’importo dell’assegno, pari a 538,69 euro mensili. Se il reddito complessivo della coppia supera questa soglia, il diritto decade. È il caso di Serena, che – nonostante i suoi contributi – resta tagliata fuori da ogni forma di tutela, pensionistica o assistenziale.

Il blocco della pensione contributiva a 71 anni

Una possibile via di uscita sarebbe la pensione contributiva a 71 anni, accessibile con soli 5 anni di versamenti. Ma anche questa strada è preclusa a chi ha versato contributi prima del 1996. Un solo versamento prima di quella data è sufficiente per perdere il diritto.

Serena ha iniziato nel 1991. Quel dettaglio – cinque anni di anticipo rispetto alla soglia – le impedisce oggi di accedere a qualsiasi forma di pensione, nonostante abbia contribuito per sedici anni. Non solo non potrà andare in pensione, ma il reddito del marito le preclude anche qualsiasi sostegno economico alternativo.

Un sistema previdenziale che, in casi come questo, sembra punire chi ha lavorato anziché premiarlo. E lascia inevasa una domanda che riguarda migliaia di donne: com’è possibile che contribuire non basti?