L’opzione prevede un calcolo interamente contributivo, senza integrazioni minime o tutele aggiuntive.

“Trova un modo per ricominciare”, canta Alessandra Amoroso. Parole che sembrano descrivere perfettamente il rapporto che molti italiani hanno con la pensione: una meta rincorsa per anni, a volte decenni, eppure ancora lontana. I governi che si sono susseguiti hanno spesso promesso cambiamenti, ma la realtà resta fatta di requisiti rigidi e assegni spesso insufficienti.
Il tema previdenziale continua a dividere l’opinione pubblica, soprattutto per via degli importi bassi e dei criteri di accesso sempre più stringenti. Per molti lavoratori, il traguardo della pensione sembra spostarsi in avanti ogni anno. La speranza? Una riforma strutturale che renda finalmente l’uscita dal lavoro più sostenibile.
Verso una riforma stabile del sistema
Oggi si può accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni, con almeno 20 anni di contributi. Esistono però misure anticipate: la pensione ordinaria, ad esempio, permette l’uscita indipendentemente dall’età, ma solo dopo 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini (41 anni e 10 mesi per le donne).
Con l’aspettativa di vita in crescita, si teme però un possibile innalzamento dell’età pensionabile a 70 anni. Un’ipotesi che preoccupa molti e alimenta il desiderio di soluzioni più flessibili. Alcune opzioni sono già state introdotte negli anni recenti, ma si tratta spesso di formule provvisorie che generano più confusione che certezze.
L’ipotesi: pensione a 62 anni ma solo con il contributivo
Tra le ipotesi più discusse in vista del 2026, c’è quella di rendere stabile l’uscita a 62 anni. Un cambio significativo rispetto all’attuale sistema, che prevede soglie fisse e deroghe limitate. Ma c’è un dettaglio non secondario: la formula prevista sarebbe interamente contributiva.
Cosa significa? Che l’assegno verrebbe calcolato unicamente in base ai contributi effettivamente versati, senza alcuna integrazione al minimo o sostegno pubblico. In pratica, chi ha avuto carriere discontinue o stipendi bassi rischierebbe di ricevere importi ben inferiori alla soglia di povertà.

Una proposta che divide: vantaggi per lo Stato, dubbi per i cittadini
Questo modello, pur favorendo la libertà individuale di scegliere quando andare in pensione, comporta un rischio evidente: l’impoverimento dei futuri pensionati. Il Ministero dell’Economia vedrebbe con favore questa ipotesi, poiché ridurrebbe il peso sui conti pubblici. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere alto per chi non ha potuto accumulare contributi adeguati.
Molti cittadini temono un sistema che lascia indietro i più fragili. Eppure, la riforma è ancora tutta da scrivere. La speranza è che, nel bilancio tra sostenibilità economica e giustizia sociale, si trovi davvero “un modo per ricominciare”. Con regole più chiare, più stabili e, soprattutto, più eque.