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Pensioni e DEF 2026: cosa cambia davvero

Pensioni e DEF 2026: cosa cambia davvero
Photo by planet_fox – Pixabay
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Si conferma il sistema a scaglioni progressivi introdotto dopo il modello a sei fasce, giudicato iniquo e oggetto di ricorsi legali.

Pensioni e DEF 2026: cosa cambia davvero
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Nemmeno il tempo di metabolizzare gli aumenti di gennaio 2025 che già si parla di nuove rivalutazioni per il 2026. E non si tratta di un semplice dibattito tecnico: diversi quotidiani e siti web stanno diffondendo notizie infondate su presunti aumenti certi in arrivo con il nuovo anno. La realtà, però, è ben diversa.

Chi rilancia oggi questi titoli non fa altro che replicare quanto accaduto nei mesi scorsi, spacciando come novità quelle che, al massimo, sono proiezioni. Al momento, non esiste alcuna comunicazione ufficiale sull’indice di rivalutazione per il 2026, né sui futuri adeguamenti degli assegni. L’unica certezza riguarda il meccanismo in vigore oggi, che con tutta probabilità sarà confermato anche per il prossimo anno.

Previsioni, non fatti: cosa dice davvero il DEF

L’origine della confusione? Un passaggio contenuto nel Documento di Economia e Finanza (DEF), approvato di recente dal governo. Il documento include una stima dell’inflazione pari allo 0,8% per l’anno in corso, lo stesso valore che ha determinato gli aumenti a gennaio 2025. Alcuni hanno interpretato questa previsione come un’indicazione certa per il 2026. Ma è un’anticipazione teorica, non un dato consolidato.

Infatti, l’ISTAT non ha ancora certificato il tasso definitivo d’inflazione per il 2024, da cui dipendono gli adeguamenti attuati quest’anno. Il valore finora usato – sempre dello 0,8% – si basa sui primi nove mesi del 2024. Solo dopo l’analisi dell’ultimo trimestre sarà disponibile il dato definitivo. Parlare oggi di un nuovo aumento nel 2026 è, quindi, prematuro e fuorviante.

Il sistema attuale: perequazione a scaglioni per limitare gli squilibri

L’attuale meccanismo di perequazione segue una logica a scaglioni progressivi, considerata più equa rispetto al modello precedente. Le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo INPS vengono adeguate al 100% del tasso di inflazione. Quelle tra quattro e cinque volte il minimo ricevono una rivalutazione del 90%, mentre oltre tale soglia si scende al 75%.

Cruciale è il fatto che le percentuali ridotte si applicano solo alla parte eccedente dell’importo. Un sistema pensato per attenuare gli effetti negativi dell’inflazione senza creare disparità eccessive. Questo schema è tornato in vigore dopo le polemiche legate al biennio 2023-2024, quando si adottò un modello a sei fasce, poi finito sotto esame della Corte Costituzionale.

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Il sistema a sei fasce e la pronuncia della Consulta

Il modello precedente prevedeva percentuali molto più frammentate: 100% fino a 4 volte il minimo, 85% fino a 5 volte, poi 54%, 47%, 37% e 22% per importi progressivamente più alti. Una struttura giudicata penalizzante per molte fasce di pensionati, tanto da spingere diversi soggetti a presentare ricorsi contro il governo.

La Consulta ha dato ragione all’esecutivo, confermando la legittimità del meccanismo, ma la sentenza non ha spento le polemiche. Oggi, il ritorno a un sistema più lineare e graduale ha ridotto i margini di conflitto. Tuttavia, l’eco di quelle tensioni è ancora presente nel dibattito pubblico – e viene facilmente strumentalizzata in chiave mediatica. L’invito, quindi, è alla prudenza: prima di dare per certe nuove rivalutazioni, bisogna attendere i dati ufficiali e le decisioni del governo.