Il governo prepara una svolta sul sistema previdenziale: addio a Quota 103, restyling per Opzione Donna e nuove regole per uscire a 64 anni con strumenti integrati.

Il mosaico della riforma pensionistica per il 2026 comincia a comporsi. Il governo è al lavoro su una serie di interventi che potrebbero diventare realtà già nella prossima Legge di Bilancio. Tra le ipotesi più concrete, emergono tre linee d’azione: una revisione profonda di Opzione Donna, l’addio a Quota 103 e l’introduzione di nuovi meccanismi di flessibilità in uscita. L’obiettivo?
Superare le rigidità attuali e costruire un sistema più equo e sostenibile.
Alcuni strumenti, come Quota 103, verranno probabilmente archiviati per scarso successo. In parallelo, il governo sembra voler semplificare le regole d’accesso alla pensione, eliminando discriminazioni tra lavoratori in base alla data di iscrizione alla previdenza. Si guarda anche alla fusione tra previdenza obbligatoria e complementare, un passo che potrebbe rivoluzionare l’approccio al fine carriera.
Opzione Donna cambia volto: ritorno alle origini?
Tra le misure più discusse, Opzione Donna sembra destinata a una nuova vita. Da tempo considerata poco efficace, torna ora sotto i riflettori grazie alle parole del sottosegretario Claudio Durigon, che ha rilanciato l’idea di rafforzarla. Inizialmente sembrava sul punto di sparire, ma la misura ha ancora un forte appeal tra molte lavoratrici. Il governo sta valutando un ritorno alle regole originarie: pensione a 58 anni (59 per le autonome) con almeno 35 anni di contributi, senza le limitazioni imposte negli ultimi anni.
Verrebbero così superati i vincoli che hanno ristretto l’accesso solo a specifiche categorie (caregiver, invalide, licenziate o dipendenti di aziende in crisi). Rimarrebbero però due capisaldi: il calcolo interamente contributivo e la necessità di maturare i requisiti entro la fine dell’anno precedente alla domanda.

Quota 103 va in archivio, spazio a Quota 41 flessibile
Nel 2026, Quota 103 dovrebbe lasciare il campo: troppe poche adesioni, troppi limiti. Ma il parametro anagrafico dei 62 anni resta centrale nella nuova architettura previdenziale. L’idea è quella di sostituire Quota 103 con una nuova Quota 41 flessibile, che consenta l’uscita a 62 anni di età con 41 anni di contributi, ma con penalizzazioni più leggere.
La novità principale? L’addio al ricalcolo contributivo totale, che spesso penalizzava fortemente l’assegno pensionistico. Al suo posto, si valuta un taglio lineare del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età prevista per la pensione di vecchiaia, con una soglia massima del 10%. Un compromesso che potrebbe rendere più attrattivo l’anticipo pensionistico, mantenendo al tempo stesso sostenibile il sistema.
L’età di 64 anni al centro della nuova riforma
Il vero punto di svolta nella riforma pensionistica in arrivo riguarda l’introduzione di un’uscita flessibile a 64 anni. Un cambiamento che potrebbe coinvolgere una platea ben più ampia rispetto al passato. Attualmente, questa opzione è disponibile solo per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. Con la nuova proposta, invece, il sistema verrebbe esteso a tutti, includendo anche strumenti di previdenza integrativa e il Trattamento di Fine Rapporto (TFR).
Chi avrà maturato almeno 20 anni di contributi e un assegno pari a tre volte l’importo dell’assegno sociale potrà accedere alla pensione. Ma cosa accade a chi non raggiunge questa soglia? La riforma prevede un meccanismo innovativo: sarà possibile colmare la differenza utilizzando il TFR sotto forma di rendita oppure attivando una pensione integrativa. Una scelta che offre maggiore flessibilità e apre nuovi orizzonti per chi ha avuto carriere discontinue o frammentate.