Il coefficiente di trasformazione premia l’età avanzata: più tardi si va in pensione, più alto sarà l’importo mensile percepito.

L’INPS oggi applica tre modalità per determinare l’importo pensionistico: il sistema retributivo, quello contributivo e il misto. Il primo si basa sulle retribuzioni percepite negli ultimi anni di carriera—cinque o dieci, in base all’anzianità. Ma questa formula, un tempo diffusa, è ormai appannaggio di pochi: solo chi non ha versato contributi dopo il 31 dicembre 1995 può beneficiarne.
Il sistema contributivo, oggi prevalente, si fonda sui versamenti effettivi compiuti durante la vita lavorativa. Tutti i contributi confluiscono nel cosiddetto montante contributivo, un fondo virtuale che viene poi rivalutato in base all’inflazione. Al momento del ritiro, si applicano dei coefficienti di trasformazione: più alta è l’età alla quale si va in pensione, più favorevole sarà il coefficiente.
Il sistema misto: tra vecchie regole e nuove logiche
Chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 ma ha continuato dopo, rientra nel regime misto. In questo caso, i contributi versati prima del 1996 vengono calcolati con il sistema retributivo, mentre quelli successivi seguono il metodo contributivo.
Esiste tuttavia una deroga vantaggiosa: se al 31 dicembre 1995 un lavoratore aveva già maturato 18 anni di contributi, può estendere il calcolo retributivo fino al 2011. Una clausola che può fare la differenza, soprattutto per chi ha avuto una carriera continuativa e ben retribuita.
I limiti imposti da leggi e strumenti di flessibilità
Non tutto, però, dipende dal sistema di calcolo. Alcune misure previdenziali pongono limiti rigidi agli importi, a prescindere dai contributi versati. Prendiamo la Quota 103, ad esempio: pur consentendo il pensionamento anticipato, impone un tetto massimo di circa 2.400 euro lordi mensili, pari a quattro volte il trattamento minimo. E in ogni caso, l’intero assegno è calcolato con il solo sistema contributivo, anche per chi avrebbe diritto al misto.
Simili restrizioni si applicano anche all’Ape Sociale: l’importo massimo erogabile è di 1.500 euro al mese, senza eccezioni. Questi vincoli restano validi fino al compimento dell’età pensionabile ordinaria, fissata oggi a 67 anni.

Una pensione “ridotta” non sempre è un errore
Molti pensionati si chiedono se l’importo ricevuto rifletta davvero la propria carriera. Ma spesso, le somme erogate dall’INPS sono corrette in base ai parametri normativi vigenti. I limiti imposti da leggi recenti, insieme alla complessità dei regimi di calcolo, possono determinare cifre lontane dalle aspettative iniziali.
A rendere il quadro ancora più articolato contribuisce la continua evoluzione delle norme previdenziali, che costringe a interpretazioni tecniche e verifiche puntuali. Ecco perché, per avere piena chiarezza, è spesso utile rivolgersi a un patronato o a un consulente esperto in materia.