Si valuta l’uscita tra i 64 e i 72 anni con soglia minima contributiva e penalità per chi lascia il lavoro prima dei 67 anni.

Una volta nodo centrale del dibattito politico, oggi la riforma delle pensioni appare quasi accantonata. Al centro dell’attenzione pubblica sono emerse altre priorità: la sicurezza, le tensioni geopolitiche, l’inflazione, e i nodi fiscali. Il governo Meloni, insediatosi con promesse ben definite in tema pensionistico, ha gradualmente diluito l’urgenza dell’intervento, trasformandolo in un obiettivo di legislatura.
Nel frattempo, anche i sindacati sembrano aver dirottato l’attenzione su altre battaglie, lasciando il fronte pensioni in una zona d’ombra. Tuttavia, il tema resta vivo, pronto a riemergere in modo decisivo proprio nel 2027.
Le promesse rimandate e la scadenza del 2027
All’avvio della legislatura, le forze di maggioranza avevano fatto annunci ambiziosi: “Quota 41 per tutti” (Lega), pensioni minime a 1.000 euro (Forza Italia), e persino la cancellazione della legge Fornero. Proposte forti, rilanciate nel contesto della campagna elettorale.
Con il passare dei mesi, però, il progetto di riforma ha subito una progressiva frenata. Il governo ha individuato nel 2027 – anno di fine legislatura – il punto di arrivo per eventuali cambiamenti strutturali. Non a caso, quella scadenza coincide anche con un passaggio tecnico rilevante, destinato a modificare in automatico i requisiti per il pensionamento.
I nuovi requisiti in arrivo: tra adeguamenti e possibili deroghe
Il 2027, infatti, potrebbe portare un inasprimento delle soglie per l’accesso alla pensione. Secondo i dati ISTAT aggiornati, l’aspettativa di vita è cresciuta di 7 mesi, vanificando il precedente calo pandemico. Il risultato? Un incremento automatico dei requisiti:
- Pensione di vecchiaia a 67 anni e 3 mesi;
- Pensione anticipata a 43 anni e 1 mese per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne.
Un eventuale blocco di questo adeguamento potrà arrivare solo con un apposito decreto, che il governo dovrà comunque emanare, sia per confermare i nuovi parametri, sia per sospenderli, come auspicano alcuni esponenti dell’esecutivo.

Più flessibilità e previdenza complementare: cosa potrebbe cambiare
La rigidità dell’attuale sistema, rappresentata ad esempio da “Quota 103”, ha mostrato i suoi limiti: penalizzante e poco attrattiva, difficilmente verrà prorogata oltre il 2027. Ecco perché si torna a parlare di formule più flessibili.
Tra le ipotesi in campo, spicca l’introduzione di una fascia tra i 64 e i 72 anni, con possibilità di uscita anticipata (almeno 25 anni di contributi) solo se si raggiunge un assegno pari a 1,5 volte l’Assegno Sociale. A ciò si aggiungerebbero:
- penalizzazioni per chi sceglie di uscire prima dei 67 anni;
- incentivi per chi rimane oltre la soglia.
Infine, torna al centro il ruolo della previdenza integrativa: tra le proposte, l’utilizzo del TFR o dei fondi pensione per colmare eventuali gap contributivi, e l’estensione della pensione contributiva anticipata a tutti i lavoratori, non solo a quelli post-1996. Si valuta anche di alzare la soglia di accesso da 3 a 3,2 volte l’Assegno Sociale.