Nel nuovo piano pensionistico del governo, il Trattamento di Fine Rapporto diventa un alleato strategico per lasciare il lavoro prima, ma solo su base volontaria.

Per anni considerato una riserva personale da investire in progetti di vita o da destinare ai figli, il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) potrebbe presto assumere una funzione del tutto nuova: anticipare l’uscita dal lavoro. Con la riforma delle pensioni prevista nella Legge di Bilancio 2026, il governo introduce la possibilità di utilizzare il TFR per colmare eventuali lacune contributive, accelerando così l’accesso alla pensione. Una proposta che punta alla flessibilità, senza imporre vincoli obbligatori, ma che ridefinisce in modo significativo il ruolo del TFR nella fase finale della carriera.
Il nuovo ruolo del TFR nella pensione anticipata
La proposta è stata illustrata dal sottosegretario Claudio Durigon, che ha delineato un quadro in cui il TFR potrà fungere da ponte per raggiungere i requisiti della pensione anticipata contributiva. Attualmente, questa opzione è riservata ai cosiddetti contributivi puri, ovvero chi ha iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre 1995. Per accedere alla pensione a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, è necessario che l’importo dell’assegno previdenziale raggiunga almeno tre volte l’assegno sociale. Ed è proprio in questo passaggio che entra in gioco il TFR: potrà essere impiegato per colmare il divario economico e raggiungere la soglia minima.
Previdenza complementare e TFR: un’alleanza strategica
L’intento della riforma è anche quello di rafforzare il ruolo della previdenza integrativa nel sistema pensionistico italiano. I lavoratori già oggi possono integrare la pensione pubblica con quella derivante dai fondi pensione, ma con la nuova normativa si apre una possibilità in più: destinare il TFR maturato alla previdenza complementare per incrementare la rendita complessiva. Un’opzione che potrebbe rendere più accessibile l’uscita anticipata dal lavoro, soprattutto per chi ha una carriera discontinua o un montante contributivo non sufficiente. In questo modo, TFR e previdenza integrativa diventano strumenti sinergici per una pensione più flessibile.
Nessun vincolo: la scelta resta al lavoratore
Uno degli aspetti centrali della riforma è la volontarietà: ogni lavoratore potrà decidere in autonomia se destinare o meno il proprio TFR alla pensione integrativa. Come precisato da Durigon, l’opzione sarà valida anche per chi ha una carriera mista, cioè ha versato contributi sia prima che dopo il 1996. In questo caso, sarà possibile andare in pensione a 64 anni con almeno 25 anni di contribuzione, sfruttando il TFR per raggiungere la soglia prevista. Chi preferisce invece attendere il compimento dei 67 anni, potrà continuare a ricevere il TFR in forma piena alla fine del rapporto lavorativo, senza alcuna penalizzazione.

Una riforma che guarda alla stabilità futura
Oltre alla flessibilità offerta ai singoli lavoratori, la riforma intende anche bloccare l’aumento dell’età pensionabile previsto per il 2027, garantendo così un quadro più stabile nei prossimi anni. Il TFR diventa quindi un elemento chiave non solo per il singolo, ma per l’intero sistema previdenziale, offrendo una soluzione concreta a chi desidera lasciare prima il lavoro senza compromettere il proprio tenore di vita. Una trasformazione che, se confermata, cambierà radicalmente il significato del TFR, da liquidazione finale a leva per una pensione su misura.