Dal 2021 è in vigore una norma che esenta fino a 15.000 euro di compensi per i lavoratori sportivi dilettanti. Ma l’Agenzia delle Entrate non ha ancora chiarito come applicarla.

La riforma fiscale introdotta dal D.Lgs. 36/2021 ha segnato un cambiamento importante per chi opera nel mondo dello sport dilettantistico. In teoria, tutto sembra chiaro: fino a 15.000 euro annui, i compensi per attività sportive non sono imponibili. Ma a due anni dall’entrata in vigore, manca ancora una Circolare ufficiale da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Questo silenzio lascia spazio a dubbi e interpretazioni. Chi lavora o consiglia in questo settore deve quindi affidarsi a un doppio approccio: da un lato, interpretare il testo della legge in modo coerente e sistematico; dall’altro, cercare di prevedere quale sarà l’orientamento futuro dell’Agenzia. Un esercizio non semplice, visto che eventuali contestazioni fiscali potrebbero arrivare anche a distanza di anni, con il rischio di dover affrontare lunghi contenziosi.
Forfettari e soglia dei 15.000 euro: i dubbi sulla dichiarazione
La norma fiscale riguarda soprattutto i lavoratori autonomi sportivi, molti dei quali operano con partita IVA in regime forfetario. Ed è proprio qui che emergono le prime discrepanze.
Per chi è in regime ordinario (una minoranza degli sportivi), la dichiarazione dei redditi prevede istruzioni precise su come applicare l’esenzione dei 15.000 euro. Al contrario, nel Quadro LM riservato ai forfettari — cioè la stragrande maggioranza — non c’è traccia di indicazioni in tal senso.
Serve preoccuparsi? A rigor di legge, no: la norma è chiara e prevale sempre su modulistica e istruzioni, che si trovano all’ultimo livello della gerarchia normativa. Tuttavia, chi vuole evitare qualsiasi rischio può decidere di sottoporre comunque a tassazione la soglia esente. Per chi ha aperto la partita IVA da meno di cinque anni, questo significa pagare circa 585 euro di IRPEF in più. Una scelta che, seppur non dovuta, può essere vista come forma di cautela.
Circola poi un’ipotesi secondo cui i lavoratori sportivi dovrebbero scegliere tra il regime forfetario e l’esenzione dei 15.000 euro. Ma si tratta di un’interpretazione priva di fondamento. L’abbattimento forfetario non è un’agevolazione fiscale, ma un metodo di calcolo delle spese. L’esenzione, invece, è un beneficio a sé, e non c’è alcuna base normativa che impedisca di cumulare le due misure.
E per chi è assunto come lavoratore dipendente?
Il discorso cambia quando si parla di lavoratori sportivi dipendenti. Molti sostengono che in questo caso l’esenzione dei 15.000 euro non si applichi. Il motivo? La norma fa riferimento a “compensi”, mentre la retribuzione da lavoro subordinato tecnicamente si definisce “emolumento”.
Un dettaglio lessicale che ha portato la maggior parte dei consulenti a non applicare l’agevolazione ai dipendenti. Tuttavia, questa interpretazione, seppur prudente, non è priva di critiche. Innanzitutto, il legislatore fiscale non è noto per la precisione terminologica. Inoltre, non si capisce perché un lavoratore che passa da un contratto di collaborazione a uno subordinato debba essere penalizzato fiscalmente, pur svolgendo la stessa attività.
Il paradosso è evidente: lo Stato promuove i contratti stabili, ma poi fa pagare più tasse a chi li sottoscrive. Eppure, in assenza di chiarimenti ufficiali da parte dell’Agenzia delle Entrate, la linea della prudenza continua a prevalere.
Una normativa ancora da decifrare

La questione della tassazione nel lavoro sportivo dilettantistico resta aperta. Le regole ci sono, ma manca l’interpretazione univoca che solo l’Agenzia delle Entrate può fornire. Fino a quando non arriveranno chiarimenti ufficiali, professionisti e contribuenti dovranno muoversi in un’area grigia fatta di ragionamenti logici, esperienze e, in alcuni casi, scelte strategiche.
Nel dubbio, l’unico consiglio valido è: valutare bene costi e benefici di ogni decisione. Anche perché, come spesso accade in ambito fiscale, avere ragione non basta: bisogna anche essere pronti a difenderla.