Con la sentenza n. 94/2025, la Corte Costituzionale stabilisce che l’assegno ordinario di invalidità deve essere integrato al minimo, anche se calcolato con il sistema contributivo. Niente arretrati, ma nuovi importi da subito.

La Corte Costituzionale ha messo fine a una lunga controversia sull’integrazione al minimo per gli assegni ordinari di invalidità liquidati interamente con il sistema contributivo. Con la sentenza n. 94 del 2025, la Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo 1, comma 16, della legge n. 335/1995, nella parte in cui escludeva questo tipo di prestazione dall’integrazione prevista per altri trattamenti pensionistici. Secondo la Corte, tale esclusione è in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che tutela il principio di uguaglianza.
La decisione arriva in seguito a una questione sollevata dalla Corte di Cassazione e ribadisce un principio fondamentale: l’assegno di invalidità deve essere trattato in modo distinto rispetto alle pensioni ordinarie, poiché si rivolge a lavoratori che hanno visto compromessa in modo significativo la propria capacità lavorativa, spesso ben prima dell’età pensionabile.
Perché la Corte ha bocciato la norma della Riforma Dini
Alla base della pronuncia c’è la constatazione che l’assegno ordinario di invalidità ha sempre goduto di una disciplina speciale, fin dalla sua introduzione negli anni ’80. A differenza delle normali pensioni, infatti, questa prestazione è destinata a chi ha visto ridursi la propria capacità lavorativa a meno di un terzo, per motivi fisici o mentali. Non si tratta, dunque, di una scelta volontaria di anticipo pensionistico, ma di una condizione di bisogno oggettivo e riconosciuto.
Secondo la Corte, escludere l’assegno di invalidità dall’integrazione al minimo non serve nemmeno all’obiettivo di sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, poiché tale integrazione è già coperta dalla fiscalità generale, attraverso il fondo GIAS. Inoltre, il divieto penalizza proprio chi non ha potuto accumulare un montante contributivo sufficiente, a causa della perdita precoce della capacità lavorativa. Un trattamento che la Consulta ha definito incostituzionale.
Nuovi importi dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza in Gazzetta
La pronuncia della Corte avrà effetto solo dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e non produrrà effetti retroattivi. Questo per evitare un impatto eccessivo e improvviso sulla spesa pubblica. In altre parole, non ci saranno arretrati, ma l’integrazione sarà applicata solo alle mensilità future.
A partire da quel momento, l’assegno ordinario di invalidità potrà essere integrato fino al trattamento minimo INPS di 603,40 euro al mese per il 2025. Tuttavia, l’importo dell’integrazione non potrà superare il valore dell’assegno sociale, pari a 538,69 euro mensili. La regola vale per tutti i beneficiari con contributi versati dopo il 31 dicembre 1995, inclusi lavoratori dipendenti, autonomi e iscritti alla gestione separata.

Una svolta per migliaia di beneficiari: chi avrà diritto all’aumento
Il principio stabilito dalla Consulta rappresenta una svolta per molti lavoratori invalidi, in particolare quelli con anzianità contributiva successiva al 1995. Fino ad oggi, infatti, l’assegno liquidato solo con il sistema contributivo poteva essere anche ben al di sotto della soglia minima, senza possibilità di integrazione. Ora, se il totale mensile risulta inferiore ai 603,40 euro, l’importo sarà adeguato, nei limiti sopra descritti.
Il pronunciamento riconosce in modo chiaro che la prestazione non può essere trattata alla stregua di una normale pensione contributiva, proprio perché nasce per far fronte a una situazione di invalidità e quindi a una condizione di svantaggio strutturale. Un principio che, come afferma la stessa sentenza, si sottrae al “giudizio di disvalore” normalmente associato a chi esce anticipatamente dal mercato del lavoro.