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Riforma IRPEF: cosa cambia per il ceto medio?

Riforma IRPEF: cosa cambia per il ceto medio?
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La promessa di un taglio all’aliquota IRPEF nel prossimo bilancio 2026 potrebbe tradursi in benefici significativi per molti contribuenti italiani, con una riduzione del carico fiscale e un miglioramento del potere d’acquisto. Ma quali sono le reali implicazioni di questa modifica fiscale?

Riforma IRPEF: cosa cambia per il ceto medio?
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La riforma dell’IRPEF torna al centro del dibattito politico ed economico italiano, con l’obiettivo dichiarato di alleggerire il carico fiscale sul ceto medio e restituire potere d’acquisto ai lavoratori. Nel bilancio 2026, il governo punta a ridurre di due punti percentuali l’aliquota applicata ai redditi tra 28.000 e 50.000 euro, una misura che, almeno sulla carta, promette un beneficio economico concreto per milioni di contribuenti

L’impatto del taglio IRPEF sul ceto medio

La riforma proposta prevede una riduzione di due punti percentuali sull’aliquota IRPEF per la fascia di reddito compresa tra 28.000 e 50.000 euro. In termini concreti, questo significa un risparmio lordo di circa 1,63 miliardi di euro all’anno per i contribuenti, con un beneficio medio per individuo stimato attorno ai 240 euro annuali. È una misura mirata a sollevare le tasche di circa 6,5-7 milioni di italiani, incidendo direttamente sulla porzione di reddito che rientra in questo specifico scaglione.

La riduzione dell’aliquota dal 35% al 33% si applica esclusivamente sui redditi all’interno di questo scaglione, con una base imponibile stimata in 81,6 miliardi di euro. Tuttavia, le previsioni meno ottimistiche suggeriscono che il risparmio effettivo potrebbe essere più contenuto, intorno ai 240 euro in media, a fronte di stime teoriche che indicano un potenziale massimo di 440 euro per chi percepisce 50.000 euro all’anno.

Il fenomeno del Fiscal Drag sul ceto medio

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In Italia, il fenomeno del fiscal drag è una realtà che penalizza in modo particolare la classe media, aggravata dall’inadeguato adeguamento delle aliquote fiscali all’inflazione. Quando i salari aumentano per compensare l’inflazione, i contribuenti spesso scivolano verso scaglioni più elevati di tassazione senza un reale aumento del potere d’acquisto. Questo effetto trascinamento è documentato da recenti analisi condotte da Itinerari Previdenziali, mettendo in evidenza come l’assenza di indicizzazione del sistema fiscale deformi i benefici degli incrementi salariali.

Con il passaggio al 33% per la seconda fascia di reddito, ci si aspetta di smorzare l’effetto del fiscal drag, diminuendo l’onerosità dei contratti senza un reale incremento netto sui redditi.

Perché concentrarsi sul 2° scaglione IRPEF?

L’analisi dei dati fiscali evidenzia che poco più della metà del gettito IRPEF proviene da contribuenti appartenenti a fasce medio-alte, i più colpiti dall’erosione del potere d’acquisto. Il focus sugli scaglioni di reddito compresi tra 28.000 e 50.000 euro si rivela cruciale, in quanto rappresentano una porzione significativa della forza lavoro italiana che subisce maggiormente il fiscal drag se gli scaglioni non vengono adeguati coerentemente.

Con l’introduzione della nuova struttura a tre aliquote dal 1° gennaio 2025, che prevede il 23% fino a 28.000 euro, il 35% per i successivi fino a 50.000 euro, e il 43% oltre questa soglia, il secondo scaglione rimane strategico. È qui che risiede il maggior numero di lavoratori “medio-reddito”, quelli più vulnerabili alle variazioni non compensate del sistema fiscale.