Fondi pensione e TFR potranno facilitare l’accesso alle misure anticipate grazie alla maggiore flessibilità economica.

Nel panorama incerto delle pensioni italiane, alcune regole restano solide anche per il 2026. I nati nel 1959, ad esempio, potranno accedere alla pensione di vecchiaia al compimento dei 67 anni, a patto di aver versato almeno 20 anni di contributi. Nessuna sorpresa neppure per chi ha iniziato a contribuire dopo il 31 dicembre 1995: per ottenere l’assegno pensionistico, sarà necessario raggiungere un importo minimo pari almeno a quello dell’assegno sociale.
Confermata anche la pensione anticipata ordinaria, con requisiti invariati: 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. I lavoratori precoci, invece, potranno accedere alla Quota 41 – purché abbiano versato almeno un anno di contributi prima dei 19 anni e rientrino tra categorie specifiche come caregiver, disoccupati, invalidi o addetti a mansioni gravose. Anche l’Ape Sociale, utile per queste stesse categorie, sarà disponibile a 63 anni e 5 mesi.
Possibili cambiamenti e nuove aperture
Se una riforma strutturale sembra lontana, alcune modifiche puntuali potrebbero arrivare. La pensione anticipata contributiva a 64 anni dovrebbe restare in vigore, ma si discute di un ampliamento che includerebbe anche i lavoratori con anzianità precedente al 1996. Per loro, la condizione sarebbe accettare il calcolo interamente contributivo dell’assegno.
Attualmente, questa misura è riservata ai cosiddetti “contributivi puri”, ossia chi ha iniziato a versare dopo il 1995, e richiede almeno 20 anni di contribuzione, con un assegno pari a tre volte l’importo dell’assegno sociale (ridotto a 2,8 volte per le donne con un figlio, 2,6 volte con due o più figli). L’ipotesi di alzare questa soglia a 3,2 volte è sul tavolo, ma non entrerà in vigore prima del 2030.
Le misure a rischio: addio a Quota 103 e Opzione Donna?
Non tutte le formule attualmente disponibili sopravvivranno al 2026. Quota 103, ad esempio, potrebbe non essere prorogata. La misura, che consente l’uscita a 62 anni con 41 anni di contributi, ha registrato adesioni contenute, penalizzata da regole rigide: calcolo interamente contributivo, divieto di cumulo con altri redditi da lavoro e tetto massimo all’assegno.
Anche Opzione Donna è in bilico. Pur offrendo alle lavoratrici un canale di uscita anticipato, richiede il calcolo totalmente contributivo dell’assegno, con pesanti riduzioni dell’importo. Negli ultimi anni, la sua popolarità è andata scemando, e il 2026 potrebbe segnarne la definitiva uscita di scena.

Complementare e TFR: strumenti da rivalutare
Un’altra via che potrebbe acquisire rilievo nel 2026 riguarda l’integrazione tra pensione pubblica e previdenza complementare. Chi ha aderito a un fondo pensione potrà utilizzare la rendita integrativa per raggiungere più facilmente i requisiti economici previsti da alcune misure anticipate.
Anche il TFR potrebbe giocare un ruolo strategico: destinare il trattamento di fine rapporto alla previdenza integrativa rappresenta una scelta che, nel contesto delle modifiche in discussione, potrebbe risultare sempre più vantaggiosa. In quest’ottica, la flessibilità di combinare fonti diverse di reddito si presenta come uno dei principali strumenti di adattamento alle regole future del sistema pensionistico.