Artigiani e commercianti i più colpiti: la cancellazione dei crediti compromette le pensioni legate ai contributi effettivamente versati.

L’INPS ha annunciato la cancellazione di 15,7 miliardi di euro dal proprio bilancio, una manovra che apre un fronte critico per le pensioni dei lavoratori dipendenti. A renderlo noto è stato il Consiglio d’Indirizzo e Vigilanza dell’Istituto (CIV), che in un comunicato ufficiale del 15 aprile ha evidenziato l’impatto del riaccertamento dei residui attivi e passivi al 31 dicembre 2023. Di questi importi, ben 6,6 miliardi riguardano contributi previdenziali non versati da aziende poi beneficiarie della pace fiscale. Un vuoto che rischia di compromettere la sostenibilità del sistema pensionistico, poiché i diritti acquisiti dai dipendenti restano validi anche in assenza di contribuzione effettiva.
La pace fiscale diventa un boomerang per le pensioni
I numeri parlano chiaro: le ultime tre edizioni della pace fiscale hanno comportato lo stralcio di 15,4 miliardi di euro solo in contributi previdenziali. Tra i provvedimenti in questione, lo stralcio dei debiti fino a 1.000 euro del 2018, quello fino a 5.000 euro del 2021, e il più recente, previsto dalla Legge di Bilancio 2023, che ha cancellato crediti fino a 1.000 euro risalenti al periodo 2000-2015. Un effetto domino che grava ora sulle future pensioni, soprattutto di artigiani e commercianti, la cui pensione dipende in modo diretto dai contributi effettivamente versati. Il condono fiscale, quindi, non ha solo tagliato debiti: ha intaccato il futuro previdenziale di migliaia di lavoratori autonomi.
Automaticità delle prestazioni: lo Stato dovrà intervenire
Diverso è il discorso per i lavoratori dipendenti. In base al principio di automaticità delle prestazioni, i contributi non versati non impediscono l’accesso alla pensione. L’INPS, però, si trova ora a dover coprire una spesa di 6,6 miliardi senza avere la relativa entrata contributiva. Chi coprirà il buco? Il CIV lancia un appello chiaro: è necessario un intervento dello Stato, che attraverso la fiscalità generale dovrà garantire risorse compensative. La richiesta è quella di evitare che la mancanza di contributi finisca per penalizzare i lavoratori e, di riflesso, l’equilibrio complessivo del sistema.

Una voragine nei conti pubblici che pesa su tutti
Il problema non è solo contabile, ma politico e sociale. L’operazione di riaccertamento 2023 ha comportato la cancellazione di 13,7 miliardi tra crediti e debiti non più esigibili. Una cifra coperta dal Fondo di svalutazione crediti, ma che comunque incide sul Rendiconto generale 2024. E il saldo finale non riguarda solo i numeri dell’INPS: a pagare, saranno i cittadini. Quando lo Stato interviene per coprire i vuoti contributivi, il costo ricade su tutta la collettività. Un paradosso che trasforma la pace fiscale in un onere collettivo, aprendo interrogativi urgenti sulla sostenibilità futura del welfare italiano.