Tajani propone l’estensione del primo scaglione al 23%, ma servono coperture certe per evitare squilibri nei conti pubblici.

Settimane favorevoli per l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. All’indomani dei referendum che non hanno scalfito la sua leadership, la premier ha ricevuto una calorosa standing ovation agli Stati generali dei commercialisti. In platea anche il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, in un contesto decisamente favorevole al centro-destra. Un momento di forte approvazione che ha accompagnato le parole della premier sul sistema fiscale: snellirlo, alleggerirlo e restituire respiro al ceto medio, con una riduzione dell’IRPEF ormai data per necessaria.
Aliquote in bilico: le ipotesi sul tavolo
Da mesi Tajani sostiene la proposta di ridurre la seconda aliquota IRPEF dal 35% al 33%, per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro. Il risparmio massimo sarebbe di circa 440 euro annui, ma l’effetto sul portafoglio risulterebbe poco incisivo. Ecco perché si ragiona su interventi più ambiziosi, come l’estensione del primo scaglione IRPEF fino a 35.000 euro: in questo scenario, l’aliquota scenderebbe al 23%, con un risparmio che potrebbe superare gli 800 euro all’anno. Una misura più tangibile per il contribuente medio. Tuttavia, ogni ipotesi dovrà fare i conti con la sostenibilità finanziaria.
La lezione del “caso Truss” e la prudenza necessaria
Il governo italiano non può permettersi di ignorare i mercati. La memoria dell’autunno 2022 è ancora fresca: la premier britannica Liz Truss crollò sotto il peso di un piano fiscale in deficit che agitò gli investitori. Un errore da non ripetere. L’attuale ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, mantiene una linea cauta: ci sono ancora oltre due anni di legislatura e, nel frattempo, l’Italia beneficia di giudizi positivi dalle agenzie di rating. Tagliare le tasse sì, ma solo con coperture certe, per evitare squilibri. In fondo, le entrate fiscali sono cresciute ben oltre l’inflazione: tra IRPEF e imposte dirette, il gettito è aumentato in modo significativo, consentendo margini per eventuali interventi senza stravolgere i saldi.

Il peso del ceto medio e i vincoli della spesa militare
L’urgenza di un segnale fiscale al ceto medio è sempre più evidente: meno del 17% dei contribuenti sostiene la gran parte del gettito IRPEF. Una concentrazione ritenuta ingiusta e inefficace, che alimenta tensioni sociali. Ma il contesto internazionale impone nuovi vincoli: al prossimo vertice NATO sarà formalizzato l’impegno a portare la spesa militare al 5% del Pil. Un impegno oneroso che renderà ancora più difficile trovare margini per interventi strutturali. In assenza di un’improvvisa crescita economica o di un boom del gettito, il taglio dell’IRPEF potrà concretizzarsi solo a fronte di una revisione della spesa pubblica. Per il governo, la sfida è duplice: mantenere credibilità sui mercati e al contempo non deludere la platea che lo sostiene.