Dalla banca di deposito alla banca universale
Il sistema finanziario italiano è per tradizione un sistema bancocentrico. Le banche, infatti, nel nostro paese costituiscono gli snodi vitali dei processi di allocazione delle risorse. Fino a tempi relativamente recenti, il risparmio privato però non affluiva alle imprese che in esigua misura, riversandosi per lo più su degli investimenti maggiormente “sicuri” (come ad esempio, gli immobili, i titoli di Stato e le obbligazioni garantite dallo stesso, i depositi postali e bancari); il ricorso delle famiglie al credito era tutto sommato modesto e si indirizzava principalmente al finanziamento dell’acquisto dell’abitazione. La borsa valori sopperiva in minima parte al fabbisogno di capitali delle società quotate; il finanziamento dell’economia era affidato ai circuiti di doppia e tripla intermediazione, dato che la realizzazione dei progetti di investimento poteva contare in via primaria sulle sovvenzioni pubbliche gestite dal sistema bancario e sui fondi erogati dagli istituti di credito speciale. Le direttive comunitarie di coordinamento in materia creditizia (in particolare le direttive 77/780 e 89/646) e i primi interventi dell’Antitrust nel settore hanno poi contribuito a smantellare l’assetto oligopolistico del sistema bancario nazionale, imponendo l’abbandono delle pratiche di cartello e la fine delle restrizioni all’accesso in funzione delle esigenze economiche del mercato. Dopo un lungo periodo di stabilità, la regolamentazione del sistema finanziario ha conosciuto dei profondi mutamenti nei tradizionali settori di intervento (banche, assicurazioni, negoziazioni di borsa), grazie anche e soprattutto alla nascita di nuove autorità di controllo, come la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) e l’Isvap (l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private) e al progressivo rafforzamento del ruolo della Banca d’Italia. Altri settori di attività, in precedenza non disciplinati, sono sottoposti a controllo pubblico istituendo altrettante riserve di attività in favore di intermediari specializzati (fondi comuni di investimento, di tipo aperto e chiuso; società di investimento a capitale variabile; fondi pensione). Le lacune nel sistema dei controlli nei settori del credito e della finanza vengono inoltre colmate (anche allo scopo di combattere il riciclaggio dei proventi di attività criminali) grazie alla regolamentazione degli intermediari finanziari non bancari e delle attività di intermediazione mobiliare. Infine, a tutela dei clienti, sono previsti obblighi di informazione e di pubblicità in ordine alle condizioni contrattuali relative ai servizi bancari e finanziari e regole di comportamento improntate ai criteri di trasparenza, correttezza e diligenza in ipotesi di prestazione di servizi di investimento.
La disciplina delle banche
Secondo l’articolo 10, comma 1, del Testo Unico bancario: “la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria“.Tale attività può essere esercitata esclusivamente da imprese autorizzate, denominate appunto banche. La Banca d’Italia è legittimata ad informare il pubblico ministero per l’adozione dei provvedimenti disciplinari e sanzionatori nei confronti della società sospettata di aver esercitato in maniera abusiva l’attività di raccolta del risparmio o l’attività bancaria. La cosiddetta despecializzazione istituzionale, temporale e funzionale è stata senza dubbio favorita dalla progressiva scomparsa delle banche pubbliche, a seguito dei processi di trasformazione e di scorporo regolati dal decreto legislativo 356 del 1990. Ma nuove gerarchie fra banche, in relazione alle dimensioni o alle caratteristiche dell’attività, riemergono nella regolamentazione in via amministrativa (così, ad esempio, in materia di riserva obbligatoria e di partecipazioni non finanziarie). Le banche aventi sede legale e amministrazione centrale in altro Stato comunitario, ed ivi autorizzate, sono ammesse ad operare in Italia in regime di mutuo riconoscimento a seguito di semplice comunicazione, restando soggette ai controlli di natura prudenziale vigenti nel proprio paese di origine (si tratta del cosiddetto principio dell’home country control). Se hanno sede legale in Italia possono costituirsi o modificare il proprio oggetto sociale soltanto a seguito di una preventiva autorizzazione della Banca d’Italia, per la quale sono richiesti puntuali requisiti (veste giuridica di società per azioni o cooperativa per azioni a responsabilità limitata, capitale minimo, presentazione di un programma dell’attività iniziale unitamente allo statuto e all’atto costitutivo, possesso di requisiti di onorabilità per i partecipanti al capitale e di professionalità ed onorabilità per gli esponenti aziendali) e che deve essere negata qualora non risulti garantita la “sana e prudente gestione”. Per quanto riguarda il primo insediamento di banche extracomunitarie è in vigore un regime autorizzativo analogo a quello prescritto per la costituzione di banche italiane, ma tale provvedimento specifico è di competenza del ministro del Tesoro e può essere subordinato alla cosiddetta condizione di “reciprocità”. Il criterio della sana e prudente gestione costituisce poi il vero e proprio leit motiv del rigoroso regime di controlli pubblici – assistiti da un corposo apparato di sanzioni amministrative e penali – al quale sono sottoposte le banche autorizzate in Italia: preventiva autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni al capitale delle banche e alle variazioni di codesta partecipazione, controlli sulle modificazioni dello statuto e sui progetti di fusione e scissione, tutti ovviamente di competenza esclusiva della Banca d’Italia, che esercita inoltre degli importanti poteri di vigilanza (vigilanza informativa, vigilanza regolamentare e vigilanza ispettiva).